COSTRUIRE E’ FACILE? – WORKSHOP PISCINOLA – Dicembre 2016

Avere 16 anni, non saper leggere e scrivere, la differenza tra un quadrato ed un rettangolo, ma sapere per filo e per segno qual’è quella tra un AK47 ed una 44 magnum. Saper sparare senza aver mai tracciato un cerchio a mano libera in vita propria… A Dicembre 2016 siamo scesi assieme all’attore-drammaturgo Simone Faloppa, chiamati da Interno5 e Teatro Area Nord nel comune di Piscinola, estrema periferia di Napoli, tra Scampia e Secondigliano. Uno dei QG della Camorra, reso celebre dalla serie TV iperviolenta “Gomorra”.

Costruire è Facile? WORKSHOP

Lì abbiamo incontrato una rieducativa di ragazzi con cui abbiamo cercato una risposta alla domanda che ha dato un senso al lavoro della compagnia Batignani & Faloppa: “Costruire è facile?”…  Il percorso è stato sorprendente e ricco di avventure ed incontri. Cliccando QUI potrete accedere alla galleria di foto pubbliche caricata sul mio FLICKR. Qui sotto invece potete vedere il promo del percorso d’indagine/spettacolo che ho confezionato a dicembre.

Abbiamo passato con loro una settimana. Settimana in cui abbiamo in parallelo continuato e dato una spinta ulteriore al lavoro già iniziato un mese prima assieme al coautore del progetto David Batignani, sempre a Napoli, sempre al Teatro Area Nord. Il nostro fine nella session di ottobre-novembre era quello di realizzare una documentazione foto-video del progetto “Costruire è facile?!”. Stavolta è stato quello di lavorare sul concetto di “costruzione”, di “Manualità”, di apprendimento del saper fare. David per questo periodo è stato obbligato a restare in Spagna dove ormai vive. Io e l’omonimo Faloppa ci siamo quindi calati nel maelstrom prenatalizio napoletano, con davanti a noi una settimana e mezzo di lavoro, incontri e scoperte che già sapevamo sarebbero state a non finire. Siamo arrivati di venerdi. Sabato e domenica abbiamo approfittato del tempo di attesa per mettere in piedi il progetto di laboratorio e per continuare l’indagine nei territori dell’artigianato napoletano già iniziata in ottobre-novembre. La domenica, tardo pomeriggio, quando dopo una giornata di incontri fortuiti e di un bel viaggio nel mondo (sempre legato al cibo ed alle tradizioni) dei Presepi napoletani, in Piazza del Gesù, una scampanata particolarmente contemporanea ci distrae dalle tradizionali strenne natalizie. Ci avviciniamo alla fonte della musica e ci troviamo di fronte ad un giovane musicista, misto tra un hippie ed uno scienziato pazzo: Marco Balestrieri che con le sue campanelle colorate, ci ha rilasciato un’intervista che ci ha motivati ed ispirati per tutto il seguito del nostro lavoro. Costruire per Marco è facile. La prima cosa che ha costruito de piccolo assieme a suo padre è stata un telegrafo riciclando un campanello di un palazzo. Con le sue mani suona, e costruisce e modifica customizzandoli strumenti musicali. Marco ci ha conquistato, ed è restato dall’inizio alla fine nel cuore del nostro progetto.

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Il lunedi pomeriggio, finalmente, abbiamo incontrato i ragazzi della rieducativa. Giovani dagli 8 ai 16 anni, accompagnati dalle educatrici dell’associazione “Simpatiche Canaglie”. Eravamo in tre a gestire gli incontri: Faloppa, io e Maria Vitale, educatrice ingaggiata dal TAN per accompagnarci nel percorso. Ci rendiamo presto conto dell’abbandono socioculturale in cui questi bambini versano, e ci facciamo subito l’idea che se Gomorra è un’esagerazione, supera solo di poco la realtà che ci circonda. Alcuni di questi giovani li avevamo già incontrati: in un incontro a chiusura della prima parte di residenza al TAN, un pomeriggio di pratica laboratoriale dove abbiamo costruito e giocato insieme, proponendo ai ragazzi di costruire la loro città ideale… o meglio, di individuare una criticità nella loro città reale, e di immaginarsi come cambiarla, come trasformarla in qualcosa di buono, piuttosto che lasciare il degrado divenire costante delle loro esistenze. Motivati dall’esperienza, alcuni di loro erano tornati. Così in breve abbiamo silentemente deciso di continuare sull’onda, che il laboratorio sarebbe stato una continuazione di quel che in quel mezzo pomeriggio ad inizio novembre avevamo toccato, ed abbiamo dato ai ragazzi la possibilità di costruirsi un modulo di azione teatrale senza nemmeno essere coscienti di farlo. Così li abbiamo invitati a confrontarsi con diversi materiali basilari, carta, cartone, gli abbiamo insegnato ad usare un metro flessibile, gli abbiamo fatto scoprire il metronomo… Ed insegnendogli tutto questo, li abbiamo scoperti, li abbiamo in qualche misura rivelati per quello che sono. Bambini, spesso ormai più che bambini, che vengono sostenuti e portati di forza alla fine del percorso di studi obbligatorio malgrado la loro alfabetizzazione discutibile, lavoratori infaticabili in famiglie distratte, disintegrate o semplicemente assenti. Bambini obbligati a fa finta di essere grandi, obbligati a trasformarsi in agnelli cannibali per sopravvivere ed adattarsi ad una periferia di lupi. Bambini apparentemente privati della possibilità di sognare, apparentemente svuotati dalla passione che è propria della loro giovane età da un sistema scolastico che semplicemete li ignora, umiliandoli con l’applicazione delle punizioni didattiche solo per giustificare la propria incapacità nell’integrarli. Per una settimana li abbiamo fatti lavorare, cooperare, usando le mani. Ed usando le mani, in questo mondo sempre più “desu-mani-zzato”, lentamente hanno iniziato ad usare la testa, il cervello, la logica, la matematica, la capacità intuitiva. E riscoprendo tutto questo, hanno imparato senza che siamo stati obbligati a spiegarla o ad imporla, se non in pochi momenti in cui l’abituale caos dei ragazzi avrebbe rischiato di prendere il sopravvento nell’ordine che con estrema serietà cercavamo di consolidare. Abbiamo avvicinato i ragazzi attraverso il video, la fotografia, la lettura, il gioco nello spazio, la semplice accettazione del fatto che esistano dei giochi che prevedano delle regole e che il divertimento non possa ridursi alla variante di Scampia dello storico gioco di piazza “Guardie e Ladri” diventato “Guardie, Ladri e Latitanti”. Un gioco che ci hanno spiegato con un’incomprensibile e violenta dimostrazione dal vero inficiata dal fatto di essere fatta in poche decine di metri quadri di spazio, mentre normalmente si deve giocare nei deserti urbani di Scampia o Secondigliano. Supportati da artigiani, amici artisti, dalle persone incontrate durante tutta la settimana, siamo arrivati alla fine del nostro percorso il martedi della settimana successiva. Nemmeno inquietati,ma dando per scontato che avremmo proposto una rappresentazione pubblica del nostro e loro percorso lontana anni luce da una dimostrazione di forza o di tecnica teatrale. In quel che abbiamo proposto assieme ai ragazzi di teatrale c’è soltanto il luogo ed una messinscena del reale, dei momenti musicali, un minimo di luce, una regia dichiarata, semplicissima ed in piena luce. Simone Faloppa ha ben riassunto quello che è stato il nostro percorso condiviso in un discorso di apertura del nostro cantiere che è a mio personale avviso un manifesto di politica, più che culturale, umana. Un discorso che vi invito CALDAMENTE a leggere, cliccando QUI. Sotto gi occhi degli spettatori presenti al TAN, i ragazzi hanno molto semplicemente lavorato, hanno costruito la loro città, i loro edifici. Come operai al lavoro su di un progetto senza progettista, autogestito, encomiabilmente silenzioso ed ordinato. Ci siamo dati 15 minuti per finire il lavoro iniziato nella settimana precedente ed abbiamo finito il lavoro. Alla fine dei 15 minuti abbiamo dato voce ai ragazzi in un video che ho montato al volo a partire dalle loro interviste. E poi, alla fine del video, le campanelle di Marco Balestrieri sono tornate dal vivo. Lo schermo della realtà si è alzato e dietro, Marco, che gentilmente ha accettato di unirsi a noi, ha chiuso il cerchio di questa folle settimana davvero molto impegnata, e dato a questi ragazzi un assaggio di quel che si può creare quando con le proprie mani si cerca di realizzare i nostri sogni.

COSTRUIRE E’ FACILE? E’ uno spettacolo di ricerca che continua a cercare porte aperte, comunità motivate, un progetto che si sposta dal teatro alla performance costruttiva, alla realizzazione di un video-documentario dedicato al progetto fotografico, e che ci ha portato a impegnarci umanamente e politicamente per riportare il senso del saper fare nella concezione di vita dei ragazzi di cui vi ho parlato. Adesso cerchiamo altre case, altri terreni di inchiesta e di incontrare altri compagni di battaglia. Certi che, se vogliamo che la lotta per conservare la dignità di vita del genere umano abbia ancora un senso, questa passa anche attraverso il recupero della manualità che sempre più perdiamo per strada in un mondo che non ci vuole più produttori, e sempre più consumatori. Riappropriamoci della capacità di costruire e iniziamo a costruire insieme un nuovo mondo migliore.

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